C’è solo una soluzione possibile
La fast fashion non è più soltanto un trend: è un problema ambientale e sociale che cresce in silenzio tra capi restituiti, vestiti scartati e discariche globali. Il recente report di Mani Tese rilancia un’urgenza concreta: riformare il sistema tessile attraverso un’unica, imprescindibile chiave di svolta — la responsabilità estesa del produttore.
Il problema
Tra il 20% e il 30% dei capi acquistati online nel 2024 sono stati restituiti; stessa sorte per il 20% degli acquisti in negozio.
Riconfezionare i capi restituiti è spesso più costoso che buttarli: molti finiscono direttamente nei rifiuti.
Anche gli invenduti vengono scartati: alcuni finiscono ad Accra (Ghana), dove ogni settimana arrivano 15 milioni di vestiti usati.
Il mercato locale non riesce ad assorbirli: ciò che non viene venduto finisce nelle fogne o in discariche come quella dell’Atacama, visibile perfino dallo spazio.
Le grandi catene della fast fashion producono decine di collezioni ogni anno, saturando il pianeta con capi difficilmente riciclabili.
La soluzione: Responsabilità Estesa del Produttore (EPR)
Il MASE (Ministero dell’Ambiente) propone di introdurre l’EPR per tessili, calzature, pelletteria e accessori.
Obiettivo: rendere i produttori responsabili del fine vita dei loro prodotti.
Secondo Erion (consorzio no profit), è essenziale allineare la normativa italiana alla direttiva europea, che assegna ai produttori l’obbligo di gestire raccolta, selezione e riciclo.
Dal 2026 sarà vietata la distruzione degli invenduti: sarà obbligatorio dichiararne il destino.
Ostacoli e opportunità nel riciclo
Oggi pochissimi capi possono essere davvero riciclati: lana, cotone o cachemire puri.
La maggior parte è fatta di materiali misti e accessori (bottoni, zip) che ne rendono difficile il trattamento.
Il riuso, invece, funziona: in Italia il 60% dei capi raccolti viene rivenduto come usato.
Il resto diventa straccio, imbottitura o — in minima parte — rifiuto da smaltire.
In futuro sarà richiesto che i nuovi capi contengano materiale riciclato: le aziende dovranno quindi chiudere il cerchio.
Il ruolo dei produttori (e dei cittadini)
Aziende come Save The Duck, OVS, H&M, Kiabi, Decathlon stanno già aderendo a consorzi come Erion Textiles e investendo in iniziative concrete.
Ogni capo sarà soggetto a un ecocontributo: più si consuma, più si paga.
Chi sceglie meno e meglio, contribuisce di fatto a un modello più sostenibile.
La moda può cambiare volto solo se la responsabilità torna al punto d’origine: chi produce deve anche pensare a come quel prodotto finirà. E chi acquista, può scegliere se alimentare il ciclo o trasformarlo.
Fonte: Avvenire – “La moda usa e getta è sempre più un problema: c’è solo una soluzione possibile”